La Cavalcata di San Giuseppe di Scicli: origine e programma

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Cavalcata San Giuseppe a Scicli (RG)

Il 2 e il 3 aprile 2016 si celebrerà a Scicli, in provincia di Ragusa, la Festa di San Giuseppe con la Storica Cavalcata che vedrà protagonisti cavalli, riccamente bardati con caratteristici manti realizzati tessendo fiori di violaciocca su trama di juta, che sfileranno per le vie del centro cittadino accompagnati da cavalieri nei costumi tradizionali dei contadini.
La festa nasce come rievocazione della Fuga in Egitto della Sacra Famiglia che viene narrata nei vangeli e si svolge ogni anni il sabato successivo al 19 marzo (quest’anno è stata fissata nel primo sabato di aprile per via della Santa Pasqua).

Ricca di suggestioni e peculiarità, viene citata anche da Elio Vittorini nel suo libro “Conversazioni in Sicilia”

<<La cavalcata partiva di la in faccia, in direzione di quel palo del telegrafo…
C’è una piccola chiesa che non si vede, su quella montagna, ma la illuminavano dentro e fuori e diventava una stella e la cavalcata partiva dalla chiesa, con lanterne e sonagli, e scendeva la montagna.
E sempre di notte, naturalmente.
Si vedevano le lanterne e io sapevo che c’era mio padre in testa, un gran cavaliere, e tutti si aspettava nella piazza giù in basso o sul ponte.
E la cavalcata entrava nei boschi, le lanterne non si vedevano più, si udivano solo i sonagli.
Era una cosa lunga e poi la cavalcata spuntava sul ponte, con tutto il chiasso dei sonagli e con le lanterne, e con lui in testa come se si sentisse un re…>>.

Qui di seguito troverete un estratto dal libro “Le feste del Signore. Collana Appunti per una storia della pietà popolare a Scicli. I Quaderno” di Ignazio La China. Editrice Sion, e il programma della Cavalacata di San Giuseppe del 2016.

LA FESTA DI SAN GIUSEPPE A SCICLI

Il Carioti, arciprete di San Matteo e storico settecentesco, non parla né di statua né di festa esterna ma solo del solenne panegirico nel giorno della festa, anche se parla della confraternita attiva per la ricostruzione della chiesa e dei contributi dei devoti del S. Patriarca per edificare una nuova chiesa più bella della precedente.

La chiesa di San Giuseppe a Scicli è il centro della devozione cittadina al Santo Patriarca. La festa di San Giuseppe a Scicli infatti è una delle più tradizionali e antiche non solo della città ma dell’intera provincia. E’ all’estendersi della devozione a San Giuseppe in epoca post-tridentina dovuta ai vari ordini religiosi presenti nella nostra Isola che anche a Scicli prese forma la festa nella sua configurazione attuale che ha i punti peculiari nell’accensione dei falò, nella Cavalcata e nella Cena, oltre alle consuete espressioni religiose legate alla processione e agli altri riti liturgici.

I falò e le fiaccole

La data della festa fissata il 19 marzo, nella tradizione romana, vicina all’equinozio di primavera, ha collegato anche l’idea della fuga in Egitto come fuga dal male e quindi come vittoria del bene: la fuga avviene di notte e perciò l’oscurità deve essere vinta dal bagliore della luce. In quasi tutti i luoghi, non solo in Italia ma anche ad esempio in Spagna, dove si celebra San Giuseppe, la sera della vigilia le strade sono inondate dalla luce delle fiaccole e dei falò: è, crediamo, l’idea stessa del rinnovamento della natura primaverile simboleggiato dal fuoco che purifica e rinnova, espressa dai grandi falò della vigilia di sapore appunto apotropaico diffusi un po’ in tutta Italia e di cui la tradizione dei “pagghiara” a Scicli, in concomitanza della Cavalcata di San Giuseppe è una testimonianza.

Sarebbe interessante studiare il rapporto tra i falò di San Giuseppe e le altre feste in cui altrove o in altri tempi venivano o vengono accesi falò: Santa Lucia, Epifania, S. Antonio Abate, San Giovanni Battista, Ascensione, Pentecoste, Assunzione…

In ogni caso va rilevato come un grande depauperamento del senso tradizionale della festa a Scicli la scomparsa dei falò o la loro mutazione genetica, se non metastasi, in barbecue di strada, e l’appiattimento della festa alla sola Cavalcata, di cui diremo tra breve.

La cavalcata di San Giuseppe

In tante feste patronali non solo isolane ma anche nel meridione d’Italia noi troviamo una Cavalcata di Nobili che vanno a rendere omaggio al Santo Patrono sontuosamente vestiti e con cavalli riccamente bardati. La peculiarità della cavalcata di Scicli in onore di San Giuseppe è data anzitutto dalle gualdrappe delle cavalcature che sono realizzate non in stoffa ma decorate interamente con il fiore della violacciocca, in dialetto locale “BALUCU”. La scelta di questo fiore è determinata, secondo alcuni, dal fatto di essere conosciuto, per la sua forma, come “bastone di San Giuseppe” come ricorda il nome stesso: Balucu, per metatesi, da “BACULUM, bastone” (secondo la tradizione popolare, a ricordo del miracolo della sua elezione a sposo della Vergine Maria quando il suo bastone si trovò fiorito come la verga di Aronne: in realtà l’apocrifo Protovangelo di Giacomo e l’apocrifo Pseudo vangelo di Matteo parlano di una colomba bianca che si posa sulla verga di Giuseppe, mentre il bastone con il giglio è solo un’allusione al versetto biblico “l’uomo giusto fiorirà come un giglio” applicato a Giuseppe); secondo altri invece la scelta della violacciocca sta nel suo significato di fedeltà nelle avversità e rispecchierebbe appunto il ministero di San Giuseppe a protezione della Sacra Famiglia; per altri ancora è dovuto al fatto che in Sicilia è il primo fiore a sbocciare e ad annunciare la primavera: comunque sia è un dato di fatto che da Trapani a Scicli, da Palermo a Siracusa, in Sicilia dappertutto la decorazione per San Giuseppe è fatta di Balucu.

Secondo la tradizione quindi ancora al presente la vigilia della festa un gruppo di cavalieri vestiti con gli antichi costumi contadini (pantaloni e gilet di velluto nero, camicia bianca ricamata, fascia multicolore intessuta ai fianchi, fazzoletto rosso, burritta, stivali e pipa di canna) e a cavallo di queste cavalcature riccamente addobbate si danno appuntamento nella piazza centrale della città da dove, all’ora stabilita, il corteo si muove dirigendosi verso la chiesa di San Giuseppe. Sul sagrato ci si ferma insieme per ricevere la benedizione e prendere “in consegna” tre figuranti che interpretano la Santa Famiglia. Infatti nel corso degli anni la seconda parte della Cavalcata si è rivestita di un particolare significato religioso, passando da un semplice atto di omaggio alla rievocazione della FUGA IN EGITTO. I cavalieri dunque faranno quasi da scorta alla Santa Famiglia che con un asinello farà il giro della città rievocando le tappe della fuga e della ricerca di ospitalità, mentre al passaggio del corteo tutti gridano: Patriarca, Patriarca!!! Dietro di loro segue ogni tipo di cavalcatura: cavalli, muli e asini e, dopo quelli bardati, anche quelli con solo campanacci o niente semplicemente, tutti con in mano le tradizionali ciaccare, le fiaccole per illuminare la strada fatte con gli steli del locale ampelodesmo. Lungo il percorso la Cavalcata si fermerà in vari punti della città dove sono accesi i “PAGGHIARA” caratteristici FALO’ per illuminare e riscaldare la Famiglia in fuga. Gli abitanti del quartieri che curano il falò offriranno così ospitalità e qualcosa da mangiare ai membri della cavalcata che poi riprenderà il suo giro della città per concludersi nuovamente sul sagrato della Chiesa di San Giuseppe. I falò accesi, dal loro significato apotropaico antico, passeranno poi a costituire i punti di ritrovo e di incontro delle famiglie del quartiere e degli amici e dei passanti che saranno ospitati cortesemente in una serata in cui la condivisione del cibo diventa elemento aggregante e fonte di comunione e gratuità.

Della festa in passato si sono occupati storici il Pitrè e Serafino Amabile Guastella. Anche storici locali ne hanno fatta la descrizione: il Pluchinotta e il Cataudella. Famosa è la citazione di Elio Vittorini, nel suo romanzo Conversazione in Sicilia. Vedere infatti i cavalli coperti dai manti infiorati in mezzo ai bagliori delle fiaccole e dei falò e fra lo scampanio assordante delle sonagliere e il vociare dei cavalieri rappresenta certamente uno spettacolo eccezionale e di grande coinvolgimento. Negli ultimi tempi è diventato anche un’attrazione turistica.

Non si sa quando questa tradizione sia nata. Il Carioti, storico locale del Settecento non ne parla, mentre egli stesso, come amministratore dell’Ospedale di Scicli negli anni che vanno dal 1751 al 1766, annesso alla chiesa di Sant’Antonio Abate, si premurava di comperare la legna per il grande falò da accendere la sera del 16 gennaio, vigilia della festa di Sant’Antonio, nel sagrato antistante a Santa Maria la Piazza.

Se però si confronta la Cavalcata e la Cena di Scicli con altre feste similari nel meridione si vede subito che la loro forma attuale non risale al di là dei primi dell’Ottocento: questo significa che o la tradizione va fatta risalire proprio a quest’epoca (in cui nella chiesa cattolica c’è un grande rilancio della figura di San Giuseppe) o è un’interpretazione di forme più antiche di cui però si è perso il senso e alle quali perciò si cerca di dare un nuovo significato: è interessante notare come alla fenomenologia comune quali i falò, le luminarie o la cavalcata, il ogni paese si dà un’interpretazione diversa! E questo si spiega proprio con la ricerca di dare senso ad una ritualità di cui non si comprendono più le motivazioni arcaiche. Ad una lettura attenta ad esempio delle testimonianze del Guastella e del Pluchinotta già emerge l’inconciliabilità dei due racconti sull’esatto svolgimento della Cavalcata: c’è solo il san Giuseppe o tutta la famiglia? Maria è scomparsa davvero per i pizzicotti o è un tentativo di razionalizzare del Pluchinotta?

Fatto sta che fino al dopoguerra il San Giuseppe andava a prendere Maria e il Bambino la domenica mattina nella chiesa della Consolazione (non si sa perché proprio questa chiesa, l’unica traccia è che c’era una grande intesa tra il Capitolo di questa e la Confraternita di San Giuseppe già nel Seicento, quando i canonici si facevano prestare dalla chiesa di San Giuseppe la vara per la processione della Madonna della Consolazione) e rientravano processionalmente con la banda e dietro lo stendardo in chiesa per presenziare alla Messa solenne e poi all’apertura della cena, quando veniva offerto loro il pranzo (maccheroni e carne al sugo di maiale con patate e vino per il Patriarca) consumato sul sagrato sotto gli occhi di tutti i fedeli. Anche qui troviamo tante esperienze parallele in altri paesi in cui la fuga in Egitto è rievocata al mattino con una processione (magari preceduta da una sacra rappresentazione del sogno di San Giuseppe) della Sacra Famiglia che culmina in chiesa con la Messa e con la Cena.

La peculiarità invece del “mestiere di San Giuseppe” credo invece si possa inserire in quella fioritura di figure a cavallo tra un’esperienza eremitica sui generis e un modus vivendi di particolari esperienza di povertà di cui si faceva carico tutta la società cittadina del tempo: il questuare del San Giuseppe (o del San Guglielmo) ricordava ai cristiani il dovere della carità e serviva a prendersi cura di persone che altrimenti sarebbero state vittime di degradazione e miseria.
La cena

Giuseppe: il suo “nomen” è anche “omen”: Joseph in ebraico sta per “ancora, in più, in aggiunta” ed è nome di buon augurio. Perciò in passato, specie in situazioni di povertà e di miseria (come in Sicilia e nel meridione) la figura di Giuseppe è legata soprattutto all’idea della Provvidenza e per questo in tante città isolane sono diffuse le “Cene” o le “tavolate” di San Giuseppe fatte in favore dei poveri e dei diseredati.

Significativa in questo senso è la promessa che, secondo la apocrifa Storia di Giuseppe il Falegname, Gesù stesso fa al padre putativo in punto di morte:

<<Chi avrà cura di fare un’offerta al tuo santuario il di della tua commemorazione, il 20 luglio, io stesso lo benedirò con l’offerta celestiale, quella nei cieli. E così pure chiunque porrà pane in mano a povero nel tuo nome, non lo lascerò soffrire di indigenza di bene qualsiasi in questo mondo, durante tutti i dì della sua vita. Ti concederò di poter far condurre al banchetto dei mille anni tutti quelli che nel giorno della tua commemorazione diano una coppa di vino in mano a forestiero, a vedova, a orfano. Nel caso di un povero che non può far nulla di quanto è stato detto, se imporrà il nome Giuseppe a un figlio in tuo onore, farò in modo che in quella casa non entri né fame né peste, ché il tuo nome abita veramente colà>>.

Anche la Cena che si svolge a Scicli si ispira all’idea della carità solidale per i poveri e i bisogni della Parrocchia. Ed è un’esperienza ancora sentita dalla gente.

La processione

Invece è attestata la processione con la statua fin quasi dall’erezione a Grancia nel seicento. La statua seicentesca usata per la processione è certamente quella di cui si è parlato sopra: c’è un indizio indiretto che ce lo potrebbe confermare, è il fatto che il Capitolo della Consolazione si faceva prestare la vara, di cui abbiamo parlato prima. Infatti la vara era fatta in modo che vi si potessero collocare le due statue separate di Giuseppe e di Gesù e per questo poi vi si adattavano le due statue del Cristo Risorto e della Madonna della Consolazione. E un indizio indiretto un’altra notizia lo data circa l’antichità della festa: infatti il 20 aprile del 1680 il Capitolo della Consolazione deve far riparare la vara di San Giuseppe perché, vecchia, si è rotta durante la processione e se la vara è vecchia dobbiamo retrodatare la festa almeno di cinquantanni se non di più.

La processione iniziava al mattino verso le dieci, dopo la Messa delle nove. Si procedeva alla traslazione a San Matteo e poi alle ore quindici da qui riprendeva l’itinerario con il rientro a San Giuseppe. Adesso ci si limita ad un breve giro pomeridiano per le strade del paese: caratteristica è però la partecipazione dei fedeli a cavallo.

Di grande importanza doveva essere ritenuta la festa liturgica in passato: il Carioti ci attesta come ancora nel Settecento due dei quattro Giurati cittadini, in pompa magna, si recassero al mattino per partecipare alla Messa solenne e assistere al Panegirico del Santo (è questa l’occasione per la cavalcata, a suo dire, di nobili più numerosa di quella delle Milizie?).

La festa liturgica odierna che ha i suoi prodromi nei sette mercoledi precedenti (di origine settecentesca) si concentra poi nella celebrazione della festa esterna con le Messe e nella processione pomeridiana del Simulacro del Patriarca cui intervengono di nuovo i cavalieri, stavolta senza le bardature (esposte come atto di omaggio sul sagrato della chiesa) ma ai cavalli sono messi solamente i FILARI al collo con tante campane appese (generalmente 19 in onore di San Giuseppe) e dal suono caratteristico. La serata si continua la CENA (vendita all’incanto cioè dei doni offerti per i poveri e per i bisogni della chiesa: ceste di primizie e di frutta, formaggi, animali dolci tipici locali, vini, centrini ricamati e prodotti dell’artigianato locale) ed è conclusa dallo spettacolo pirotecnico. A queste manifestazioni principali ogni anno sono connesse altre attività di vario genere che ne costituiscono quasi la cornice.

PROGRAMMA 2016
SABATO 2 APRILE

ORE 18:00
APERTURA 7^ SAGRA DI SAN GIUSEPPE – via San Giuseppe
SFILATA CAVALLI BARDATI CON “FILARI E CIACCARE”
ORE 19:30
PRESENTAZIONE e SFILATA BARDATURA – Piazza Italia
ORE 20:30
RADUNO VIA SAN GIUSEPPE
PARTENZA SFILATA PER LE VIE DEL PAESE INSIEME ALLA SACRA FAMIGLIA
ACCENSIONE FALÒ TRADIZIONALE DI SAN GIUSEPPE
ORE 22:30
RIENTRO PRESSO SAGRATO SAN GIUSEPPE

DOMENICA 3 APRILE
ORE 9:00
ESPOSIZIONE BARDATURE
Lungo la via san Giuseppe
APERTURA DAMMUSI STORIA E TRADIZIONI
ORE 12:00
INAUGURAZIONE CENA DI SAN GIUSEPPE
ORE 18:00
APERTURA DAMMUSI STORIA E TRADIZIONI
ORE 20:00
CONSEGNA RICONOSCIMENTI
APERTURA TRADIZIONALE CENA DI SAN GIUSEPPE

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Autore: Redazione