A Napoli c’è un appuntamento che non ha bisogno di inviti, né di promemoria: ogni vero napoletano sa bene quando arriva quel momento carico di emozione, mistero e fede che si rinnova da secoli, il miracolo di San Gennaro. È una di quelle tradizioni che non si spiegano solo con le parole, perché qui non si parla semplicemente di un rito religioso, ma di un vero e proprio legame di sangue — in tutti i sensi — tra la città e il suo santo patrono. Tre volte l’anno Napoli si raccoglie attorno al Duomo e aspetta col fiato sospeso che si compia il prodigio: il 19 settembre, giorno della festa liturgica di San Gennaro; il 16 dicembre, data che ricorda l’eruzione del Vesuvio del 1631 fermata — secondo la devozione popolare — proprio dall’intercessione del Santo; e poi c’è lui, l’appuntamento di maggio, forse il più intimo, ma non meno carico di speranza e suggestione, che quest’anno cadrà il 3 maggio.
In quei giorni succede qualcosa che, pur ripetendosi da secoli, riesce sempre a tenere tutti col cuore in gola: l’ampolla che custodisce il sangue di San Gennaro, conservato solidificato, viene esposta ai fedeli e si attende la sua liquefazione. Quando il sangue si scioglie, la folla esplode in un applauso liberatorio, le campane suonano a festa, e la città tira un sospiro di sollievo, come se fosse stata firmata una tregua con il destino, come se tutto, almeno per un altro po’, potesse andare bene. Se invece il sangue non si scioglie, ecco che scatta una sorta di inquietudine collettiva, quasi come se fosse un segnale da interpretare, un messaggio misterioso e serio che la città legge con rispetto.
L’attesa per il miracolo di maggio ha un sapore particolare, più raccolto rispetto a quello di settembre che è un vero evento popolare, ma non per questo meno sentito. Anzi, la data di maggio ha una storia legata al ringraziamento: si ricorda la traslazione delle reliquie del Santo, ed è come se Napoli in quei giorni volesse ripercorrere il cammino di fiducia costruito nei secoli con San Gennaro. Anche quest’anno, il 3 maggio, occhi puntati sull’altare, cuori sospesi, silenzio che taglia l’aria e una folla di sguardi, giovani e anziani, turisti e devoti, tutti stretti attorno a quella piccola ampolla. C’è chi sussurra una preghiera, chi incrocia le dita, chi aspetta con gli occhi lucidi di commozione, perché a Napoli San Gennaro non è solo un Santo: è un parente, un amico fidato, un guardiano invisibile che la città chiama col diminutivo affettuoso, ‘Faccia Gialla’.
E ogni volta, finché quel sangue non si scioglie, il tempo sembra fermarsi, come se il respiro stesso di Napoli fosse in attesa di quel piccolo, grandissimo miracolo.